«IL DESERTO FIORIRÀ»
Orientamenti pastorali dopo la pandemia
Anno pastorale 2021-2022
Diocesi di Mazara del Vallo
«Se troviamo di nuovo il coraggio e l’umiltà di dire ad alta voce che il tempo della crisi è un tempo dello Spirito, allora, anche davanti all’esperienza del buio, della debolezza, della fragilità, delle contraddizioni, dello smarrimento, non ci sentiremo più schiacciati, ma conserveremo costantemente un’intima fiducia che le cose stanno per assumere una nuova forma scaturita esclusivamente dall’esperienza di una Grazia nascosta nel buio»1.
1 FRANCESCO, Discorso alla Curia Romana, 21 dicembre 2020, n. 6.

Premessa
Stiamo vivendo ancora in tempo di pandemia, seppure in modalità non ugualmente critiche come lo scorso anno. Adesso l’impegno di tutti deve tendere a rafforzare il quadro delle misure di prevenzione anche attraverso la vaccinazione, superando le remore ingiustificate indotte da atteggiamenti incomprensibili, soprattutto se si pensa al diffondersi dell’epidemia in soggetti prevalentemente non vaccinati. Ci invitano a ciò il Papa e la Conferenza Episcopale italiana e quella siciliana.
I l Papa, inoltre, ha promosso una nuova stagione di sinodalità che, peraltro, la nostra Chiesa ha già avviato dallo scorso anno. Siamo, perciò, chiamati a sintonizzarci sui percorsi che la Santa Sede e la CEI stanno proponendo con i documenti già pubblicati o in via di elaborazione. La Segreteria del Sinodo dei Vescovi ha pubblicato il documento preparatorio del prossimo Sinodo dal titolo: Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione e un Vademecum. Attendiamo nei prossimi giorni le indicazioni della CEI. Sappiamo comunque che l’intero percorso sinodale terminerà nel 2025 e che nel corrente anno pastorale 2021-2022 saremo chiamati a una fase narrativa che comprenderà l’ascolto e il racconto della vita di ciascuna Chiesa locale; mentre nel 2022-2023 le Chiese locali rifletteranno su alcune priorità individuate dalla CEI nell’Assemblea generale ordinaria del 2022. Questo itinerario sarà avviato 17 ottobre 2021 nelle Chiese locali e sarà preceduto dall’apertura del Sinodo a Roma il 9-10 ottobre. Queste premesse di contesto intendono motivare la necessità di cercare vie nuove, affinché il deserto causato dal Covid-19 possa dar luogo a una nuova fioritura di vita di fede, tenendo ben presente che niente sarà più come prima.
In quest’ottica, non possiamo perdere di vista che una seria riflessione sulla pandemia l’abbia qualificata come kairós, cioè come tempo adatto, favorevole, giusto, idoneo, propizio. Non sembri una qualificazione azzardata, vista la connotazione tragica di questo tempo. Infatti, «Che cosa fare durante la crisi? Innanzitutto, accettarla come un tempo di grazia donatoci per capire la volontà di Dio su ciascuno di noi e per la Chiesa tutta»2. Un breve saggio, pubblicato durante la Quaresima 2020 nel bel mezzo della pandemia, osservava: «Possiamo naturalmente accettare questa Quaresima di chiese vuote e silenziose semplicemente come una breve misura temporanea che sarà presto dimenticata. Ma possiamo anche sfruttarla come kairós: un momento opportuno per “prendere il largo” e cercare una nuova identità per il cristianesimo in un mondo che cambia radicalmente sotto i nostri occhi»3. Mi sembra un auspicio molto opportuno perché prospetta la necessità di scelte consequenziali ai cambiamenti radicali che ormai sono inequivocabilmente accaduti e che nessuno può ragionevolmente negare. I mutamenti drastici imposti ai comportamenti e alle abitudini richiedono, perciò, risposte nuove e in linea con le esperienze inaspettate che hanno segnato profondamente le persone. Comunque, sull’onda di quanto il cammino sinodale ci indicherà, occorre effettuare un’indagine approfondita della realtà per avere una immagine più vera e compiuta dello stato di salute delle nostre comunità, scosse da questa tremenda esperienza di contagio e di contenimento. Nello stesso tempo
2 Ivi, n. 9.
3 TOMÁŠ HALÍK, Il segno delle chiese vuote. Per una ripartenza del cristianesimo, ed. Vita e Pensiero, Milano 2020, p. 16.
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bisogna valutare i contraccolpi psicologici ed emotivi che hanno condizionato la vita dei singoli e delle famiglie a motivo delle molteplici privazioni a cui hanno dovuto sottostare.
Prospettive pastorali per proseguire il cammino
È chiaro che ci aspetta un compito assai impegnativo perché dobbiamo progettare nuovi percorsi pastorali, successivi al devastante Covid-19.
Le coordinate di questa progettualità sono la reimpostazione della rotta della vita e l’apertura di spazi nuovi (Papa Francesco), nella logica del servizio come Chiesa del grembiule (mons. Tonino Bello). Infatti, l’otto marzo 2020, rappresenta sicuramente uno spartiacque per la nostra storia in quanto la pandemia sta tracciando un solco di rottura profonda con il passato, imponendo l’avvio di un nuovo inizio.
Partiamo da una lettura, possibilmente sapienziale, di questo tempo. Fin qui è stato pacificamente accettato che i cattolici rappresentavano la fetta maggioritaria della popolazione, con indicatori specifici per i nostri territori, come la partecipazione alle messe domenicali, la percentuale delle famiglie che dichiaravano di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica, il numero elevato di prime comunione e cresime, i matrimoni celebrati in chiesa. Ma quei numeri restano credibili? A me sembra che bisogna essere più guardinghi, se si pensa allo spessore di vita di fede presente nella maggior parte delle coppie che hanno celebrato il matrimonio sacramento, o se si fa conto degli adolescenti che proseguono la loro esperienza ecclesiale nel dopo cresima, o alla scarsa rilevanza culturale dell’insegnamento della religione cattolica. Molto opportunamente c’è chi ha osservato che la pandemia è stata «mandata a svelare la reale consistenza di molte grandezze apparenti»4. Allora, forse, è giunto il tempo di prendere consapevolezza con coraggio che siamo un piccolo gregge5, siamo il resto del nuovo Israele. In questo stato di cose, ferma restando l’esigenza della prima evangelizzazione da proporre a tutti con nuove motivazioni, bisogna reindirizzare le cure pastorali a chi ha un vero interesse per l’ascolto della Parola di Dio e per una sequela martiriale del Signore Gesù, il Crocifisso Risorto. Il vero problema, infatti, non sono i numeri, quanto l’essere pochi ma irrilevanti, per l’inconsistenza della testimonianza di fede in un mondo che ha altre idealità e altri interessi.
Un altro elemento di notevole rilevanza è la riscoperta, imposta dai fatti, della casa, della famiglia e delle relazioni. È stata un’opportunità inedita il riavvicinamento fisico e per tempi consistenti dei coniugi tra loro, dei genitori con i figli, dei figli tra loro, dando un senso nuovo al tempo, soprattutto al tempo libero, per accompagnare i componenti il nucleo familiare. In diverse famiglie si è riscoperta la preghiera comune, il gusto della tavola, la cura della casa, la presenza di figure occasionali come i nonni, la cui assenza è stata molto sofferta. Questa riscoperta centralità della casa e della famiglia costituisce senz’altro un elemento
4 GIULIANO ZANCHI, I giorni del nemico, in ”La Rivista del Clero Italiano” 2020 (101) 5, p. 353.
5 «Si tratta dunque di riconoscere le possibilità provvidenziali proprie del “piccolo gregge”, scoprendo il modo di incidere in un mondo secolare a partire dalla situazione di minoranza. Vivendo i grandi valori controcorrente – gratuità e umiltà – il piccolo gregge suscita nella città secolare la nostalgia di quel vero umanesimo a cui tutti aspirano perché intessuto di affidabilità, di fiducia, di solidarietà quali traduzioni laiche della fede, speranza e carità» (MARCO VERGOTTINI [a cura di], Perle di Martini, Edizioni Dehoniane, Bologna 2018, p. 262).
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formidabile nella reimpostazione della pastorale e nella riaffermata soggettualità della famiglia come chiesa domestica.
Il tema delle relazioni ci riporta, da un lato al tema dell’umanesimo mediterraneo, filo rosso del mio magistero come Vescovo di questa Chiesa locale; dall’altro, il riferimento al Mediterraneo significa contestualizzare in tutta la sua fecondità quanto maturato dalla conversione pastorale di Verona che ha messo la persona, nella sua condizione concreta, al centro. In questa terra, infatti, il contesto della condizione delle persone è quello Mediterraneo in una Chiesa intesa come mistero di relazione. La relazione va dunque intesa come riflesso di quel processo genetico che riguarda la Chiesa continuamente e che le dà vita per il suo legame con la Santissima Trinità, mistero di Relazione. Tale processo diventa determinante per il nostro modo di pensarci come Chiesa, di essere Chiesa e di fare Chiesa, ovvero diventa processo vivo che informa di sé la nostra missione e la nostra prospettiva pastorale. La relazione è dunque l’approdo teologico e pastorale della riflessione e delle scelte pastorali di questi anni di servizio episcopale.
Per capire e attuare il disegno di Dio in questo particolare momento storico la nostra Chiesa locale è chiamata, da me suo Vescovo, ad assumere i connotati di “comunità alternativa”, così come ha felicemente intuito nel 1995 il Cardinale Carlo Maria Martini per la Chiesa di Milano: «Una comunità alternativa è una rete di relazioni fondate sul Vangelo, che si colloca in una società frammentata, dalle relazioni deboli, fiacche, prevalentemente funzionali, spesso conflittuali. In tale quadro di società la comunità alternativa è la “città sul monte”, è il “sale della terra”, è la “lucerna sul lucerniere”, è “luce del mondo” (cfr Mt 5,13-16)»6.
Ritengo che questo possa essere per la nostra Chiesa locale il modello a cui ispirarsi per ripartire dopo la pandemia e per rispondere a quattro appelli delle nostre comunità e della società civile.
Alcuni punti fermi
Prendendo spunto da quanto mi è stato consegnato del momento di ascolto e di discernimento foraniale, riguardo al nostro percorso sinodale per la ripartenza della vita delle nostre comunità ecclesiali nel tempo della pandemia e speriamo presto della post-pandemia, ho elaborato degli Orientamenti pastorali che intendono avviare il necessario processo diocesano di un nuovo inizio, in ragione di ciò che Papa Francesco più volte ha indicato come il cambiamento d’epoca; non possiamo, infatti, rimanere ancorati alla utopia, o forse alla tentazione, di un semplice riprendere le cose di prima, ricominciando come se si fosse trattato solo di una drammatica e brusca interruzione del tempo e delle comunicazioni ma che in fondo tutto sia rimasto come prima! Il tempo nuovo che si è aperto davanti a noi, una nuova epoca appunto, necessita di una nuova proposta di testimonianza ecclesiale e di annuncio del Vangelo, una nuova presenza evangelica nel vissuto umano delle nostre città e dei nostri paesi. Le cose di prima sono semplicemente cambiate, ecco ne sono nate di nuove. Il cambiamento non è avvenuto a causa della pandemia, questa ha soltanto raccolto nel dramma di un frammento breve di storia quanto già si era avviato con il passaggio dalla modernità alla post-modernità
Nel quadro di questa ripartenza è emersa con forza la centralità della famiglia, riscoperta o subìta, nel tempo della pandemia. Dal mistero della famiglia,
6 CARLO MARIA MARTINI, Ripartiamo da Dio!, lettera pastorale alla Diocesi per l’anno 1995-96, n. 29.
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riposizionata al centro di ogni ripensamento ecclesiale ed ecclesiologico, e dalla sua missione nella trasmissione della fede occorrerà ripartire. Quando abbiamo iniziato questo cammino sinodale nessuno poteva prevedere l’indizione dell’anno della Famiglia e dell’anno di San Giuseppe. La famiglia, scuola della fede e aula liturgica, domus Ecclesia, secondo due bellissime espressioni riportate nelle relazioni foraniali, diventa dunque la nostra Galilea, ovvero il luogo da cui ricominciare ad annunciare il Vangelo. La famiglia in verità è il luogo dove la relazione disegna l’identità di ciascun componente, l’esperienza del sentirsi e dello scoprirsi amato, purtroppo anche tradito, la capacità di amare e di perdonare. Nella famiglia il mistero della relazione, vissuto come il tu da cui proveniamo come dono e al quale ritorniamo come gratitudine, scelto come disponibilità al sacrificio e alla responsabilità, diventa veramente riflesso di quelle dinamiche trinitarie che vissute insieme, come famiglia, nelle nostre comunità ecclesiali ci fanno fare esperienza di Dio, del Dio Trinità tra di noi. La relazione diventa dunque ospitalità di Dio tra noi. Il voler ripartire dalla centralità della famiglia diventa occasione favorevole per annunciare la presenza e la gratuità di Dio nel noi che è la comunità ecclesiale, riflesso e sacramento del noi di Dio che è la Trinità. La sinodalità, illuminata e sostenuta dal mistero della Trinità e dalla sacramentalità della famiglia, diventa allora cammino concreto, storico, faticoso, verso la fratellanza, ancora in linea con una felice intuizione delle relazioni foraniali.
Per realizzare il nostro percorso pastorale ho scelto lo stile pastorale e la categoria dell’appello: una sorta di invito alla missione, di mandato pastorale, che si riannoda certamente all’esperienza della visita pastorale, e che chiede a tutte le comunità e a ciascuna coscienza credente di riappropriarsi ora del proprio tempo storico cambiato e del proprio territorio concreto, ovvero del proprio contesto vitale, come una realtà in relazione dove porre la condivisione della fraternità e l’amore vicendevole dell’evangelo. «Essere Chiesa significa essere Popolo di Dio, in accordo con il grande progetto d’amore del Padre. Questo implica essere il fermento di Dio in mezzo all’umanità. Vuol dire annunciare e portare la salvezza di Dio in questo nostro mondo, che spesso si perde, che ha bisogno di avere risposte che incoraggino, che diano speranza, che diano nuovo vigore nel cammino. La Chiesa dev’essere il luogo della misericordia gratuita, dove tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo»7.
L’ultimo punto fermo è la rinnovata prospettiva della pastorale, categoria relazionale capace di raccogliere l’operare della Chiesa e il mistero della sua identità, intesa come relazione, riflesso trinitario e icona familiare. Pastorale diventa dunque categoria di essere e di fare. Azzardo allora una espressione forte, simbolica: la Chiesa fa la pastorale, la pastorale fa la Chiesa. In altri termini, una comunità cristiana, in ascolto del sensus fidei fidelium, è portata a testimoniare, ad agire, in ragione della sua origine trinitaria e della sua icona familiare. Ella, operando rivela se stessa e si realizza.
I quattro appelli
La fragilità come dono
Quella della debolezza e della fragilità è condizione filiale, di Cristo e di tutti i figli di Dio. La comunità ecclesiale diventa il luogo dell’accoglienza delle fragilità per
7 FRANCESCO, Evangelii gaudium, esortazione apostolica, 24 novembre 2013, n. 114.
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un reale superamento delle barriere relazionali affinché nelle nostre comunità si diffonda quella cultura dell’incontro e del dialogo, tanto cara a Papa Francesco. La cultura dell’incontro e dell’accoglienza diventa allora mentalità, scelta, impegno per la costruzione della civiltà dell’amore. Incontrare l’altro vuol dire assumere una genuina relazione di fraternità, che non considera l’altro un possibile nemico o concorrente, ma un fratello da amare e custodire nella sua debolezza e nella sua fragilità e talora anche da perdonare. Uno dei momenti di vera difficoltà relazionale nelle nostre comunità è rappresentato dalla fatica dell’ascolto delle domande di aiuto e, drammaticamente, dai silenzi, dalle assenze e dalle fughe. La cura deve farsi vigilanza e attenzione perché non si perda nessuno di coloro che ci sono affidati come a sentinelle del mattino. Il fratello, con la sua debolezza e la sua fragilità, è un dono alla nostra debolezza. Comprendere che la fragilità, intesa come dono, è radice e incentivo per una pastorale integrata e sinodale chiede di formare operatori pastorali integrati, cioè pienamente partecipi del vissuto comunitario.
L’oggetto di questo primo appello è la cura e il servizio alle fragilità, perché «tutti i cristiani siamo chiamati a prenderci cura della fragilità del popolo e del mondo in cui viviamo»8. E le fragilità di cui farsi carico sono tante e impegnative. E sono esse a chiedere una forte conversione nella linea della tenerezza in una realtà che è sempre più caratterizzata da ostilità, aggressioni, violenza, devastazioni. La tenerezza, peraltro, è l’annuncio inaspettato dei tempi nuovi e del mistero del Regno di Dio. Infatti, «il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza»9, che rappresenta l’unico antidoto all’indifferenza e al disinteresse. E questo appello riguarda le relazioni interpersonali e il rapporto con il creato nella linea di quella ecologia integrale che comprende le dimensioni umane e sociali, così come sono declinate nel cap. IV dell’enciclica Laudato sì’.
Per dare senso e risposte all’appello della fragilità le comunità parrocchiali, con riferimento al cammino sinodale, si devono mettere in ascolto attento e discreto delle famiglie ferite per rendersi conto delle loro esigenze, farsene carico e condividere il peso delle loro criticità, dedicando particolare attenzione ai figli che subiscono pesantemente i contraccolpi delle crisi coniugali.
Nelle periferie esistenziali e tra le famiglie ferite sono più frequenti le violenze sulle donne e sui minori. E sono proprio queste persone che devono trovare nella comunità cristiana il luogo dell’accoglienza, della difesa e della liberazione.
Un ambito nel quale le nostre comunità sono chiamate a manifestare speciale sensibilità è quello concernente le disabilità, soprattutto quelle che rendono problematico l’accesso ai sacramenti della penitenza e della confermazione. Per venire incontro ai non udenti, nelle domeniche e nelle feste, a Marsala nella messa delle ore 11.00 un operatore traduce testi e canti nella lingua dei segni (LIS).
Dobbiamo riconoscere che non siamo preparati ad affrontare le tossicodipendenze e l’alcoolismo, soprattutto in considerazione che si è notevolmente abbassata l’età in cui si viene iniziati a queste pratiche. Tante famiglie cercano sostegno nell’affrontare queste piaghe che sconvolgono le relazioni, a volte fino a esiti tragici.
Per quanto riguarda gli immigrati, è importante sostenere l’attività dei centri di accoglienza, eventualmente presenti nel territorio, assicurando una particolare
8 Evangelii gaudium, n. 216. 9 Evangelii gaudium, n. 88.
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cura pastorale agli immigrati cattolici.
È chiaro che diversi ambiti prima considerati interessano soprattutto le
strutture civili del territorio e che il nostro è spesso un intervento di supplenza. Tuttavia, tali interventi non sono per nulla in contrasto con la missione della Chiesa, chiamata sì a evangelizzare, ma anche a soccorrere e curare le ferite con l’olio della consolazione, attualizzando il ministero di carità del samaritano. Cosa significherebbe altrimenti essere Chiesa del grembiule?
E se la Caritas diocesana e le Caritas parrocchiali sono certamente in prima linea nel chinarsi su queste fragilità e nel farsi carico delle criticità e delle pesantezze di quanti portano le cicatrici di quelle ferite, esse non devono essere viste come destinatarie di una delega della comunità che scarica su di esse le sue responsabilità e si mette l’animo in pace perché c’è chi opera in suo nome. Lo stesso discorso vale riguardo al Servizio diocesano per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili.
La testimonianza della carità
Dopo l’attenzione alla fragilità, la testimonianza della carità si può considerare un suo corollario. La testimonianza della carità è stata recepita immediatamente come espressione del servizio ai poveri e agli ultimi, come opera di carità e di prossimità, come concretizzazione dell’esperienza di fede, come testimonianza, come modo di amare di una comunità ecclesiale che sa prendersi cura. Questo ambito ha, ovviamente, delle zone di comune impegno con l’ambito della fragilità Oltre alla necessaria sinergia con le altre istituzioni sociali e assistenziali presenti nel territorio, ci sono alcune indicazioni per la testimonianza della carità della nostra gente che mi piace qui richiamare. La prima è la dimensione comunitaria della testimonianza della carità. L’azione caritativa, infatti, è opera di tutta la comunità. La carità necessita di una adeguata organizzazione concreta ed efficace, che non consente logiche di deleghe e di potere. La comunità, grazie all’azione caritatevole, vive una perenne pedagogia della conversione. Altre due intuizioni strutturano l’azione caritativa come via di evangelizzazione: la prima, le famiglie aiutano le famiglie; la seconda, il debole, il povero, è una persona importante per la comunità, e non solo un oggetto di attenzione, un destinatario dell’azione pastorale. La reciprocità di aiuto tra famiglie e la reciprocità di valore tra poveri e operatori pastorali emergono come apertura comunitaria, nella quale l’accompagnamento come relazione di prossimità rivela le sue dimensioni di ascolto e di dono attraverso un permanente cammino di formazione.
Il primo richiamo è quello della solidarietà e della condivisione, traduzione operativa dell’ufficio regale esercitato dalla Chiesa per mandato di Cristo. Si tratta di un’urgenza rappresentata dal grido di soccorso di chi ha fame – e in tanti hanno bussato e busseranno in numero si prevede ancora maggiore – al cuore amorevole delle nostre parrocchie per chiedere pane. Se la lavanda dei piedi nel quarto Vangelo sostituisce il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia, il servizio di carità reso ai fratelli manifesta la diaconia della Chiesa, comunità fraterna, in cui tutti i discepoli devono onorarsi, celebrando l’incontro con il Signore e con i fratelli e servendosi a vicenda. Perciò il servizio di amore reso ai fratelli invera la celebrazione dell’Eucaristia, dono di amore infinito del Signore Gesù ai suoi, e dà corpo alla scelta preferenziale per i poveri, che, a sua volta, dà credibilità al Vangelo10.
10 Cfr Evangelii gaudium, n. 199.
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Per uscire dal piano teorico e immergersi nel quotidiano delle problematiche concernenti le diverse povertà occorre che i poveri del territorio parrocchiale non siano oggetto di attenzione, ma assurgano alla dignità di protagonisti dell’azione pastorale, liberandoli dalla loro condizione di pietre d’inciampo, fastidiosi compagni di viaggio, turbatori della serena indifferenza dei cristiani della domenica. In questa generale categoria di poveri devono avere un loro spazio specifico gli anziani, i malati, gli ospiti delle residenze sanitarie assistite. In una società sempre più invecchiata l’attenzione a queste condizioni di vita deve essere pari a quella riservata ai soggetti attivi.
Le mutate condizioni sociali esigono una radicale revisione della pastorale della solidarietà e della promozione umana. La pandemia ha evidenziato la grande disponibilità di tanta parte delle nostre comunità a farsi carico delle diverse povertà attraverso una vicinanza concreta ai bisogni del prossimo. Se questa è stata una prova straordinaria di solidarietà, occorre che la condivisione diventi stile di vita ordinario di tutti, ciascuno secondo le proprie possibilità. «Dio ama i poveri, e, per conseguenza, ama quelli che amano i poveri… Il servizio dei poveri deve essere preferito a tutto» (SAN VINCENZO DE’ PAOLI, Lettere e conferenze spirituali, Ufficio delle letture, 27 settembre).
Le nuove sfide sociali pongono interrogativi che domandano sensibilità e abilitazioni impegnative, che costringono a uscire da tanti luoghi comuni riconducibili alla logica dell’assistenzialismo. La logica della progettualità non può rimanere estranea alle nostre scelte pastorali che non possono ignorare la povertà di lavoro, la disoccupazione e la migrazione soprattutto giovanile, gli immigrati e la loro inclusione sociale, la piaga della mafia e di tutte le mafiosità e una nuova cittadinanza culturale. In questa prospettiva il progetto “Operatori di pace” intende essere una piattaforma di rilancio della strategia della pace in un contesto mediterraneo.
Un elemento di novità dal chiaro tono profetico è quello che vede le famiglie in aiuto alle famiglie, all’interno della complessità della vita e delle relazioni familiari, provate da tante tensioni e da elementi di disturbo.
L’ascolto della Parola
Il terzo appello è quello della Parola di Dio, come riferimento all’ufficio profetico proprio del popolo di Dio. La debolezza di fede della nostra gente è fondamentalmente ignoranza della Parola di Dio, nonostante i percorsi di catechesi parrocchiale finalizzati al completamento dell’itinerario di iniziazione cristiana. E questa ignoranza dovrebbe diventare fame della Parola. Luoghi e occasioni di annuncio sono variamente coltivati da aggregazioni e movimenti ecclesiali, ma la generalità dei cosiddetti praticanti non cerca o non trova accesso ai tesori della rivelazione. Nei mesi della pandemia il digiuno della Parola si è manifestato in termini più forti che nel passato, evidenziando la priorità pastorale del servizio dell’annuncio, mettendo in campo tutte le risorse disponibili, in primo luogo i social. Affinando le esperienze fatte, programmando bene giorni e orari e pubblicizzando adeguatamente le diverse iniziative e i vari appuntamenti, si potranno creare occasioni privilegiate di ascolto, raggiungendo in modo regolare le persone nelle loro case e facilitando così il loro coinvolgimento.
In questo appello emerge maggiormente la scelta di fede della nostra gente di mettere cioè la famiglia al cuore di un nuovo inizio della testimonianza del Vangelo e del Regno di Dio nell’epoca di passaggio che stiamo vivendo. Si tratta di
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considerare le famiglie come protagoniste dell’educazione alla fede. È qui che viene suggerita quella bellissima immagine della famiglia come scuola di catechesi e come aula liturgica. È in questo contesto che viene proposto, con uno sguardo di stupore ecclesiale, di riscoprire la domus Ecclesia. Concretamente questo significa riformare la metodologia della catechesi attraverso la catechesi esperienziale, provando a legarla alla vita, alle sue tappe, alle sue scoperte, alle sue fasi, alle sue crisi e alle sue ferite; e non solo dunque alla ricezione dei sacramenti. La catechesi certamente deve essere segnata da essi, ma non può essere semplicemente un cammino funzionale di preparazione. Deve diventare, invece, uno stile e una scelta di sequela, l’impegno di voler vivere da discepoli, per i quali la formazione, la catechesi appunto, la relazione con la Parola diventano percorsi necessari e punti di riferimento. Per questo la catechesi deve essere accompagnata dalla lectio divina. Il nuovo tempo consegna anche i social come nuova agorà, nuova piazza, dove saper passare e fermarsi con criticità, libertà e creatività, per seminare la parola buona del Vangelo come germe di vita per gli uomini e le donne di buona volontà. I social interpellano la polarità tra relazione e comunicazione, che, per la sua peculiarità, richiede la nuova figura di operatori pastorali digitali, di testimoni digitali della fede.
Il rapporto con la Parola di Dio è vissuto dalla quasi totalità dei fedeli in modo assai problematico in quanto essa è praticamente ignorata per un immotivato senso di estraneità e di indifferenza. Quando per ragioni contingenti, poco condivisibili, la frequentazione della Parola di Dio era preclusa ai fedeli laici il desiderio di essa era forte, probabilmente anche a motivo della privazione. Oggi che l’accesso ai libri sacri è libero e agevole sono pochi quelli che familiarizzano con essi. L’offerta della Parola di Dio da parte dei presbiteri – e dei catechisti particolarmente di quelli ai quali è conferito uno specifico ministero – deve essere, perciò, una delle priorità pastorali, accompagnata con un impegno rinnovato e assiduo del primo annuncio e della catechesi.
L’attuale percorso catechistico di fanciulli e ragazzi in preparazione ai sacramenti della confermazione e dell’Eucaristia ha mostrato tutta la sua inefficacia per un vero cammino di crescita nella fede e verso la maturità della vita in Cristo. I cinque anni del percorso non producono gli effetti sperati; anzi la conclusione dell’itinerario vede un sensibile calo d’interesse proprio quando dovrebbe raggiungere il suo culmine e si concretizza in un esodo generalizzato dei cresimati, che rappresenta purtroppo la prova più lampante dell’inefficacia della proposta. È necessario, perciò, dare una struttura e una metodologia catecumenale a questo itinerario, accompagnata da una radicale revisione dell’itinerario e dalla preparazione di catechisti non più scelti tra fedeli di buona volontà, ma tra quanti hanno acquisito una competenza ministeriale. Inoltre, assecondando alcuni orientamenti emersi in riflessioni del recente passato, con l’avvio del nuovo anno pastorale il percorso di catechesi per chi inizia all’età di 8 anni passerà da cinque a quattro anni e si concluderà con la contestuale celebrazione del sacramento della confermazione e della prima comunione. È pronto un nuovo percorso scandito in cinque tappe, (la quinta mistagogica) secondo il metodo esperienziale. Entro la metà di ottobre sarà fissato un calendario di incontri foraniali con i catechisti per la presentazione organica e dettagliata della proposta.
Siccome una concausa della crisi della catechesi parrocchiale è dovuta all’impossibilità di avere catechisti ben preparati sotto il profilo dottrinale, pedagogico e della comunicazione, anche alla luce del recente motu proprio del Papa
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bisogna investire nella preparazione dei nuovi catechisti con iniziative idonee, tra le quali la frequenza della Scuola diocesana di formazione teologica, quale requisito necessario per ricevere il mandato di catechista.
Nel contesto del rilancio di percorsi di formazione alla vita di fede per gli adulti, una cura particolare deve essere rivolta a chi è chiamato alla vita coniugale. Pur nella consapevolezza dei fattori estranei all’esperienza di fede che condizionano ancora la richiesta della celebrazione liturgica del matrimonio, non è più giustificabile una acritica accettazione di tale domanda. È ormai tempo di operare un vero discernimento vocazionale alla vita coniugale attraverso itinerari seri e impegnativi di preparazione al matrimonio secondo le indicazioni pastorali della Conferenza Episcopale Italiana. Non può condizionare una tale scelta di verifica vocazionale – certamente impegnativa per gli stessi nubendi ma anche per i parroci – il prevedibile calo numerico dei matrimoni celebrati nella forma concordataria. Infatti, il crescente numero di unioni coniugali naufragate prova che tanti affrontano questo snodo decisivo della propria vita senza aver ponderato adeguatamente tutti i risvolti di quel passo.
Se il nutrimento quotidiano della Parola di Dio illumina sul piano personale la vita e le opere del fedele cristiano, la condivisione comunitaria di essa ha una sua incidenza complementare nell’omelia e nella lectio divina. Il recente Direttorio omiletico è un interessante sussidio offerto ai ministri sacri affinché donino all’assemblea celebrante un vero nutrimento spirituale. La pratica della lectio divina, provvidenzialmente sempre più diffusa, è particolarmente gradita dai fedeli, ai quali può esserne facilitata la fruizione con la diffusione sui social, opportunamente pubblicizzata. Siccome il testo biblico riferimento per quest’anno pastorale sarà costituito dai due libri di Esdra e Neemia sarebbe altamente significativo che tutte le comunità parrocchiali scegliessero questi libri per la lectio divina, in modo che la nostra Chiesa locale fosse illuminata dall’unica Parola ascoltata, meditata, pregata e vissuta.
La presenza di fedeli di altre Chiese e di altre confessioni religiose chiede di rivolgere una specifica cura pastorale all’ecumenismo e al dialogo interreligioso, sollecitati in tal senso dal magistero di Papa Francesco e dalla forte incidenza dei suoi gesti con esponenti qualificati del mondo islamico. L’auspicata ripresa della Cattedra di islamistica potrà facilitare un approccio guidato alla conoscenza dell’Islam.
Dono di grazia
L’ultimo appello riguarda il dono della grazia, come espressione alta dell’ufficio sacerdotale conferito alla Chiesa. È manifesta la quasi assoluta irrilevanza nella vita quotidiana dei sacramenti dell’iniziazione cristiana. Il battesimo dato ai neonati non è seguito dall’impegno di educare il battezzato nella fede della Chiesa. Il percorso catechetico che prepara alla prima comunione e alla cresima svanisce nel nulla subito dopo la celebrazione di questo sacramento, anche perché la famiglia generalmente non si prende cura dell’educazione cristiana dei figli, assecondando il percorso seguito in parrocchia. Il sacramento del matrimonio non è momento qualificante l’esperienza significativa di fede di due persone che hanno scoperto in Dio il loro progetto d’amore, consacrato dal rito sacramentale e da una vita permeata dalla fede e dall’amore. È una situazione desolante che esige una riflessione seria e responsabile e, contestualmente, una revisione delle prassi fin qui seguite, consapevoli che bisognerà procedere anzitutto a un reale
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discernimento di coloro che domandano i diversi sacramenti, valutando anche le motivazioni che determinano tale domanda.
L’appello della grazia ha richiesto una fatica maggiore nell’elaborazione di proposte, accanto all’analisi. Infatti l’ambito sacramentale è quello nel quale emerge chiaramente il distacco tra una cultura diffusamente cristiana da cui proveniamo e l’attuale fatica e ferita della riduzione del sacramento al solo fatto cultuale. Se riflettiamo, ad esempio, sulla partecipazione in massa alla liturgia delle palme o a momenti devozionali delle feste dei santi, si ha la sensazione chiara di trovarsi di fronte a manifestazioni popolari di chiaro stampo emozionale e folkloristico insieme, capace, di riempire ancora e di nuovo le nostre chiese. Questa frattura epocale tra fede e sacramenti racconta anche della fatica condivisa di lasciare vecchi schemi preparatori e celebrativi che davano sicurezza ed evidenzia la grande fatica di realizzare una vera partecipazione al dono della grazia. Sgombrato il campo dalla tentazione del fallimento e del ripiegamento su sé stessi, occorre formulare proposte di riscoperta della grazia come dono di Dio per la nostra vita. Probabilmente è il caso di riprendere la triade proposta al Convegno delle Chiese a Verona: parola, sacramento e testimonianza. Occorre tracciare una via per la nuova evangelizzazione che restituisca la bellezza e la gratuità dei sacramenti all’interno della relazione tra Chiesa e Spirito. I sacramenti fanno delle nostre comunità il nuovo corpo crismato e pneumatologico del Risorto, che testimonia nel mondo il primato dell’amore.
La pastorale sacramentale deve essere ripulita da tante incrostazioni abitudinarie che ne hanno oscurato lo splendore. Il ritualismo deve cedere il posto al raccordo tra fede, sacramento e vita.
I genitori che chiedono il battesimo per i propri figli devono compiere una scelta esplicita di fede in base alla quale tale richiesta può essere accolta, anche per dare senso alla domanda del rito circa la loro consapevolezza di educare il battezzando nella fede della Chiesa. Contestualmente la comunità parrocchiale deve accompagnare quelle coppie, aiutandole nell’iniziazione dei figli alla fede.
Questo coinvolgimento deve trovare un’espressione ancora più significativa nel quadriennio di preparazione alla confermazione e alla prima comunione. Entrambi i genitori devono seguire un cammino di crescita nella fede con almeno un incontro mensile di catechesi; partecipazione essenziale ai fini dell’ammissione dei figli ai due sacramenti.
L’annosa questione della presenza di padrini ai due sacramenti del battesimo e della confermazione deve essere finalmente risolta. Pur rispettando il ruolo di questi testimoni della fede per battezzati e cresimati, essendo venuta meno nella realtà tale funzione, ad experimentum e per la durata di tre anni, a partire dal 1° gennaio 2022 sono aboliti senza eccezioni di alcun genere i padrini del battesimo e della cresima. Sarà cura dei parroci e dei catechisti informare e motivare tale scelta ai genitori dei battezzandi e dei cresimandi. Nessuno è competente a dispensare da tale divieto.
Un tema assai dibattuto riguarda l’offerta in occasione della celebrazione dei sacramenti. Così si esprime al riguardo una recente istruzione della Congregazione per il Clero: «Un tema connesso alla vita delle parrocchie e alla loro missione evangelizzatrice è quello dell’offerta data per la celebrazione della S. Messa, destinata al sacerdote celebrante, e degli altri sacramenti, che spetta invece alla parrocchia. Si tratta di un’offerta che, per sua natura, deve essere un atto libero da parte dell’offerente, lasciato alla sua coscienza e al suo senso di responsabilità ecclesiale, non
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un “prezzo da pagare” o una “tassa da esigere”, come se si trattasse di una sorta di “imposta sui sacramenti”»11. Si tratta di un indirizzo vincolante che viene recepito senza riserve e che diverrà esecutivo con apposito decreto, nel quale saranno determinate anche le altre disposizioni contenute in questi Orientamenti pastorali. In questo ambito una collaborazione indispensabile è data dal Consiglio parrocchiale per gli affari economici, che deve essere obbligatoriamente istituito in ciascuna parrocchia. Esso «può svolgere un ruolo di particolare importanza nel far crescere, all’interno delle comunità parrocchiali, la cultura della corresponsabilità, della trasparenza amministrativa e del sovvenire alle necessità della Chiesa. In modo particolare, la trasparenza va intesa non solo come formale presentazione di dati, ma piuttosto come doverosa informazione della comunità, e proficua opportunità per un suo coinvolgimento formativo. Si tratta di un modus agendi imprescindibile per la credibilità della Chiesa»12. La pubblicazione del rendiconto annuale all’Ordinario diocesano e alla comunità parrocchiale consente di far conoscere «quale sia la situazione economica della parrocchia e di quali risorse essa possa effettivamente disporre»13 per le sue esigenze, particolarmente in questa fase storica nella quale la pandemia ha creato delle gravi difficoltà sul piano amministrativo.
Obiettivi
Il percorso delineato chiede di guardare alla realtà della nostra Chiesa locale, in questo contesto storico e in questo tempo di particolare tribolazione, e di prendersi cura della qualità della vita delle nostre comunità parrocchiali e delle aggregazioni ecclesiali, valorizzando tutti i carismi, con una particolare attenzione verso la vita consacrata.
Queste prospettive possono essere tradotte ed entrare nella vita delle comunità soltanto attraverso un cammino sinodale da realizzare soprattutto a livello foraniale. Sembra questa la via più idonea per favorire una partecipazione intensa e coinvolgente che manifesti nella sinodalità la «dimensione costitutiva della Chiesa»14, vissuta nelle forme semplici e funzionali della logica del “camminare insieme” così come lo propone il nuovo itinerario sinodale. La sinodalità, infatti, «suppone e produce una Chiesa umana e inculturata, pienamente immersa nel mondo e in dialogo con la cultura contemporanea, una Chiesa fragile e umile che si
riconosce al contempo santa e peccatrice, che vive della misericordia che lei stessa annuncia, coraggiosa e creativa, che assume dei rischi e non ha paura di
sperimentare nuovi percorsi, anche accidentati»15.
Questa scelta metodologica è finalizzata a conseguire alcuni obiettivi
attraverso scelte profetiche, e perciò audaci e coraggiose, condivise e richieste dalla
stagione singolare che stiamo vivendo.
Affinché la vita della nostra Chiesa possa assumere forme nuove in un cammino
sinodale è indispensabile valorizzare il consiglio pastorale parrocchiale, senza il quale
11 CONGREGAZIONE PER IL CLERO, La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa, istruzione, 20 luglio 2020, n. 118.
12 La conversione pastorale della comunità parrocchiale…, n. 106.
13 La conversione pastorale della comunità parrocchiale…, n. 107.
14 COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, La sinodalità nella vita della Chiesa, 2 marzo 2018, n. 42.
15 NATHALIE BECQUART, Da una Chiesa clericale a una Chiesa sinodale, in “Vita e Pensiero” 2021 (104) 2, p. 43.
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«un parroco non può guidare la parrocchia»16. Questo organismo di corresponsabilità e partecipazione ha come compito quello di «ricercare e studiare proposte pratiche in ordine alle iniziative pastorali e caritative che riguardano la parrocchia, in sintonia
con il cammino della diocesi»17.
E nella logica della corresponsabilità amministrativa e della trasparenza, in un
tempo in cui le risorse economiche delle parrocchie diventano sempre più esigue e inadeguate ai bisogni delle comunità risulta sempre più indispensabile, come prima chiarito, una gestione condivisa con il consiglio parrocchiale per gli affari economici
delle problematicità degli aspetti amministrativi.
Coordinate metodologiche
* Il discernimento sapienziale e profetico sulle persone e sul mondo è, oggi,
una priorità pastorale da realizzare attraverso la cultura dell’incontro.
* La cura della prossimità dice conoscenza e incontro con le povertà, materiali
e spirituali, della nostra gente e apertura al Mediterraneo con le sue criticità, con un’attenzione particolare alle Chiese del Nord Africa, alle quali ci legano speciali vincoli di comunione. La categoria che meglio manifesta questa istanza è quella
dell’abbraccio18.
* L’annuncio della Parola deve puntare alla «“mistica” di vivere insieme, di
mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare»19. Da ciò deve nascere una rinnovata coscienza missionaria della nostra Chiesa locale affinché possa vivere «la carità effettiva per il prossimo, la compassione che
comprende, assiste e promuove»20.
* Le diverse prospettive metodologiche che in questi anni hanno
caratterizzato talune proposte pastorali hanno evidenziato l’esigenza di dare impulso alla pastorale integrata che, di conseguenza, appare ancora la più adeguata a sostenere e sussidiare il cammino apostolico della nostra Chiesa locale. Infatti, la pastorale integrata consente «il ripensamento delle azioni, dei progetti, delle iniziative e dei soggetti pastorali della Chiesa in modo integrato e corale non solo tra
di loro, ma anche con le forze educative presenti sul territorio»21.
* La relazione interpersonale è stata sottoposta a forti tensioni e a dolorose
privazioni dall’isolamento forzato e prolungato imposto dalla pandemia. Se tutto ciò, per un verso, ha determinato situazioni drammatiche, fino a esiti tragici di solitudine e abbandono, per altro verso ha rimesso in luce l’esigenza di dare spessore alla relazione attraverso l’accoglienza e il dialogo, particolarmente nell’ambito familiare
e amicale.
* La soggettualità dell’unico popolo di Dio, la relazione tra presbiteri e laici,
la condizione di minorità, la corresponsabilità, la parrocchia in una riscrittura
16 FRANCESCO, Udienza generale, 23 maggio 2018.
17 La conversione pastorale della comunità parrocchiale…, n. 112.
18 Cfr Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato da Papa Francesco e da Ahmad Al-Tayyeb, Grande Imam di Al-Azhar, il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi. 19 Evangelii gaudium, n. 87.
20 Evangelii gaudium, n. 179.
21 FRANCO GIULIO BRAMBILLA, Il DB e la trasmissione della fede: dire il Vangelo negli ambiti di vita della persona, Seminario sul 40° del documento base “Il rinnovamento della catechesi”, Roma, 14-15 aprile 2010.
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sociologica e teologica della presenza come lievito e sale e non più come maggioranza o come territorio. Individuare alleanze e patti territoriali sul piano
educativo, culturale, celebrativo, solidaristico.
Comunità dal coraggio creativo
Concludo richiamando una felice espressione della lettera apostolica Patris corde di Francesco che illumina in modo espressivo ed efficace il senso del tempo che stiamo vivendo. Rileggendo tutta la storia complessa di San Giuseppe il Papa afferma che egli venne a trovarsi al centro di dinamiche indipendenti dalla sua volontà e sicuramente più forti e potenti delle sue capacità di resistenza; ma il suo punto di forza fu la capacità di «trasformare un problema in un’opportunità anteponendo sempre la fiducia nella Provvidenza»22. Deve essere anche la nostra sfida e la nostra prospettiva: riuscire a trasformare il problema pandemia in opportunità pastorale
dal Covid-19.
Ci aspettano un anno e un tempo impegnativi che affidiamo all’intercessione
e alla protezione della Madonna del Paradiso e di San Vito, certi che, ancora una volta sapranno ottenerci il bene che chiediamo, aiutandoci a far fiorire il deserto lasciato
22 FRANCESCO, Patris corde, lettera apostolica, 19 marzo 2021.
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