TESTIMONI E PROFETI.
CONVERTIRE I NOSTRI OCCHI A GESÙ PER UMANIZZARE IL MONDO

Cosa testimoniamo al mondo noi che crediamo in Gesù di Nazareth? Qual è il centro della testimonianza di noi cristiani? Qual è la profezia decisiva del nostro essere uomini e donne della Chiesa di Cristo?
Ritengo che la specificità del nostro credere da cristiani abbia a che fare essenzialmente con una conversione dello sguardo e precisamente con la nostra capacità di assimilare il modo di “vedere” che fu proprio di Gesù: di fare nostre cioè la traiettoria e l’intensità con cui Gesù ha visto (e ha insegnato a vedere) Dio, il mondo e sé stesso. Di fare nostri i suoi occhi.

La testimonianza e la profezia dei cristiani è allora, innanzitutto, vedere Dio come Gesù l’ha visto. Dio è Padre. Vedere come Gesù significa, per prima cosa, accogliere la buona notizia che è al centro del
Vangelo e cioè la rivelazione della paternità divina. Sotto questa luce, non è affatto un caso che Gesù concentri tutto il suo insegnamento nel grande comandamento dell’amore.

Secondo la nuova legge, che è essenzialmente una legge dell’amore, ciò che è cruciale è l’ordine dell’amore: è Dio che deve essere considerato, visto e amato per primo, con tutto se stessi e poi il prossimo con quell’intensità di amore con cui ci prendiamo cura di noi.
Ed un tale ordine viene, in verità, sconvolto ogni volta che pretendiamo di amare un altro o di proporci all’altrui amore (ci/lo guardiamo) come il primo amore, con la doppia sfumatura che qui primo sottende, cioè sia in senso cronologico che assiologico: ciò comporterebbe, infatti, il misconoscere (il non vedere) la verità fondamentale che nessuno di noi è Dio.

Ogni volta, dunque, che cerchiamo l’altro – o ci lasciamo cercare – come l’unica cosa amabile del mondo, l’unica realtà che può dare significato ad un’esistenza, il rischio è di innescare circoli viziosi di illusione e delusione. A tal fine Gesù puntualizza l’ordine con cui l’amore va esercitato. È Dio che va amato per primo, perché è da Lui – dalla sua paternità – che possiamo ricevere vero riscontro della bontà del nostro essere e così poter andare generosamente incontro all’altro e lasciare che l’altro venga incontro a noi senza dovere accedere ad alcun ricatto per ottenere il nostro amore.

Amare, del resto, indica esattamente l’accoglienza dell’altro nella sua differenza ed il lasciarsi accogliere da altri nella propria differenza, sapendo appunto che anche l’altro è indirizzato fondamentalmente a Dio, e che è da Lui, non da noi, che potrà ricevere la garanzia essenziale circa la bontà della sua vita che sola gli farà benedire il suo stare al mondo.

La prima forma di testimonianza, allora, che i cristiani sono chiamati a esprimere, vivendola ovviamente, è esattamente questa della loro fede in un Dio che è padre: che è padre di ciascuno e perciò di tutti; che è padre e dunque radice ultima della comune umanità che stringe tutti in un medesimo destino di vita buona; che è padre e dunque garanzia assoluta che nessuno è mai lasciato in balia del male. L’amore tra gli umani trova perciò il suo sostegno e la sua garanzia nell’amore che ciascuno e ciascuna saprà riconoscere a colui che Gesù ci ha mostrato essere il Padre di tutti.

di don Armando Matteo