2.1. Il discernimento delle passioni del cuore

Nel giardino di Eden Dio dà in cibo all’uomo il frutto di tutti gli alberi, ma gli proibisce quello della conoscenza del bene e del male. Con questa proibizione, contrariamente a quello che potrebbe sembrare a prima vista, Dio crea uno spazio per l’esercizio della libertà e del discernimento; in- fatti senza libertà non c’è discernimento, né vera conoscenza, che è frutto sempre di ricerca e di attenzione. Dando il comando, Dio dona all’uomo la libertà di scegliere, che è parte non indifferente di quella somiglianza con lui con cui l’uomo è stato creato. Dio, infatti, è sovranamente libero perché conosce in modo assoluto il bene e totalmente lo vuole. L’uomo, con la Diducia in Dio, può esercitare la libertà come conoscenza del bene e come volontà di aderirvi. La domanda satanica, anche se può apparire incredibile a prima vista, è in realtà al servizio di questo processo di libertà. Se il suo dire avesse avuto la forma di menzogna avrebbe potuto indurre Eva a riDlettere sulla verità di quanto detto da Dio, sull’utilità di ciò che egli aveva comandato – cioè poter mangiare tutti i frutti tranne uno e vivere – e sulla bontà del Creatore che donava loro mezzi e parole per la vita. Eva, però, non opera questo discernimento, ma si consegna all’immediatezza del desiderio, indotto dall’inganno satanico. Esso, infatti, è congegnato secondo la logica dei “messaggi pubblicitari”: crea un bisogno inesistente (perché mangiare proprio il frutto di quell’albero quando ho a disposizione tutti gli altri?); attribuisce all’oggetto desiderato caratteristiche di desiderabilità che esso non ha in maniera evidente (“sareste come Dio”; ma loro sono già sua immagine e somiglianza!); impone l’urgenza del soddisfacimento del desiderio indotto senza del quale ci si sentirebbe come menomati. Così, non operando più il discernimento sulle parole udite da Dio e dal serpente, rinunciando dunque alla conoscenza che comprende il bene conosciuto e alla libertà che lo vuole, Eva entra nel peccato, che è oscuramento della mente e indebolimento, Dino all’inefDicacia, della libertà. Il peccato, entrato così nel mondo, manifesta subito il suo potere invadente e oppressivo nella vicenda dei Digli dei Progenitori, narrata nel capitolo quarto del libro della Genesi. Se leggiamo senza pregiudizio il testo biblico, esso ci guida al discernimento di una condizione storica di ingiustizia. Caino e Abele offrono i loro sacriDici; ma la lettera del racconto biblico non dice mai, come vorranno le interpretazioni giustiDicatorie successive, che ci sia una differenza di qualità o di intenzione nella loro offerta. Solo il risultato è diverso, imputabile – sembra – solo alla discrezionalità divina. Dio bene- dice Abele, perciò il suo gregge prospera; e non benedice Caino, la cui terra pertanto langue. Ma Dio benedice Caino con il dono della sua parola; solo a lui Dio parla e lo invita a discernere, in quella situazione di cui avverte con rabbia l’ingiustizia, le passioni del suo cuore. Dio avverte Caino che l’ira è come una bestia accovacciata nel suo cuore, pronta a scattare e a divorarlo; nello stesso tempo gli fa comprendere che la sua libertà è in grado di riconoscere e di dominare quella rabbia. La situazione di differenza sussiste, ma non è colpa di Abele, né è determinante delle azioni di Caino. Questi potrebbe rallegrarsi del benessere del fratello e continuare ad “agire bene”, e in questo buon agire trovare la sua benedizione e la sua dignità. Non sono le circostanze a far cadere il volto, perdere la dignità e la serenità; ma le scelte fatte con libertà, la sola che può dominare la bestia del cuore di cui la parola rivoltagli da Dio lo fa consapevole. Purtroppo Caino anziché alzare il volto, per dialogare con Dio e con se stesso, alza la mano contro il fratello, cedendo all’immediatezza irriDlessa della passione.